martedì 15 settembre 2015

Tablet: aiuto o distrazione?

Tante polemiche, scetticismo. L'ingresso di nuove tecnologie, soprattutto in un ambiente per lo più tradizionale come la scuola primaria e secondaria, crea non poco scompiglio. Ma c'è anche chi vede in queste una sfida col progresso, da portare avanti con determinazione.

Il problema più discusso riguarda i vantaggi che il tablet può portare nelle classi, a fronte del rischio che si corre nel portare una possibile ulteriore fonte di distrazione agli studenti.

Gli esempi di scuole che hanno portato avanti questa iniziativa sono già numerosi.
Un primo progetto a Los Angeles fu un notevole fallimento. Con un investimento da un miliardo di dollari diverse scuole erano state fornite di i-Pad per tutti gli studenti, che però non esitarono a sperimentare le piene potenzialità dei dispositivi e ad eludere i divieti di accesso alle pagine più disparate come social network e altri siti di svago. Non riuscendo a tenere d'occhio la situazione, i dispositivi furono sequestrati e il progetto dichiarato fallito.

Eppure, catturare l'attenzione degli studenti, potrebbe rivelarsi addirittura più semplice con uno strumento multimediale, qualora ben usato. E c'è chi ci crede e ne ha già scoperto le potenzialità:
"Lo usiamo in modo massivo e costante, come strumento nella quotidianità, come libro e quaderno, per lavorare in gruppo, fare ricerche ed eseguire lavori didattici [...]   
La tecnologia non è un fine ma un supporto a una nuova didattica [...]
Tablet come strumento di integrazione e condivisione di materiali

La professoressa Bardi già nel 2010 si è fatta promotrice dell'ingresso dei tablet a scuola. Puntando sul loro utilizzo per lavori di gruppo, per la condivisione e la creazione di nuovi materiali digitali. Con l'idea forse di uniformare il lavoro in classe e far proprio sì che tutti gli studenti siano incoraggiati a partecipare.

Che ci sia bisogno di un grande impiego di tempo da parte degli insegnanti per introdurre innovazioni di questo genere (che devono formarsi ed elaborare nuovi schemi didattici) non c'è dubbio e il successo di una tale strategia non è altrettanto garantito. Ma l'idea che il fallimento sia dovuto ai tablet in quanto sola fonte di distrazione mi sembra poco giustificata. O per lo meno in un'era in cui i ragazzi sono costantemente connessi col mondo dagli smartphone, che al contrario dei tablet sono privi di limiti di utilizzo e sfuggono al controllo dell'insegnante.

Elena Rener.

martedì 14 luglio 2015

Imparare per temi

Tullio De Mauro, linguista italiano
Come la Francia anche la Finlandia dice addio alle “materie”. Nelle più recenti indagini comparative internazionali sul profitto degli allievi c’è stato qualche scricchiolio del tradizionale primato mondiale di studenti e scuole finlandesi. Ora si sono aggiunte le rilevazioni sugli esami di accesso alle facoltà scientifiche: su una scala di 60 punti gli studenti ne hanno persi sei rispetto al 1999. Tra gli addetti s’è diffuso l’allarme e si cercano rimedi. Nel distretto di Helsinki, di gran lunga il maggiore del paese, i responsabili cittadini dell’istruzione puntano su un ribaltamento dei modi di insegnamento e studio nelle scuole secondarie superiori generaliste e professionali.Ne hanno dato notizia comunicati ufficiali e, nella stampa internazionale, l’Independent e blog e siti specializzati. Non più materie separate, geografia e storia, scienze ed economia o matematica, ma topics, temi: “l’Unione europea”, per esempio, e quindi ciò che storia, geografia, lingue, scienze insegnano in proposito; oppure nelle scuole professionali “bar e caffè” (economia, materie prime, macchine, lingue che servono per gestirle). Gli insegnanti delle diverse discipline dovranno praticare il co-teaching. E gli studenti non ascolteranno più lezioni frontali di diverse materie in ore diverse, ma lavoreranno in piccoli gruppi al topic, presentando infine all’intera classe i risultati. Si parte da Helsinki, con gli insegnanti disponibili, per arrivare a tutto il paese nel 2020.

Tullio De Mauro
[articolo rilasciato in Creative Commons - Condividi allo stesso modo su Internazionale, Aprile 2015]

lunedì 6 luglio 2015

Appunti Sperimentali

Vi è la diffusa convinzione che l’utilizzo dei laptop in classe possa migliorare le prestazioni scolastiche degli studenti. E in effetti è così: i laptop offrono ai ragazzi un gran numero di opportunità stimolanti per la loro crescita culturale, come sfidarsi in attività e dimostrazioni on-line, collaborare più facilmente alla realizzazione di documenti e progetti multimediali, accedere ai contenuti didattici presenti su Internet e ancora prendere appunti più dettagliati durante le lezioni.

Infatti, dal momento che gli studenti sono decisamente più veloci nella scrittura su tastiera che in quella manuale, quelli che usano un laptop a scuola riescono a prendere una quantità di appunti superiore rispetto a quelli che scrivono con carta e penna. Inoltre, quando gli studenti prendono appunti con il laptop tendono a trascrivere la lezione parola per parola, senza perdersi una virgola di quanto detto dall’insegnante.

Prendere appunti più completi, che consentano di catturare con precisione tutti i contenuti del corso, è ovviamente un bel vantaggio, perché in fase di ripasso permette di ripercorrere con linearità gli argomenti affrontati in classe.
Pam Mueller, Princeton University

Ma non è il caso di eccedere con l’entusiasmo. Un recente studio condotto da Pam Mueller e Daniel Oppenheimer dimostra che in realtà a imparare di più sono i ragazzi che scrivono i propri appunti manualmente.

I due ricercatori hanno chiesto a un campione di studenti di sedersi in classe e di prendere appunti, poi li hanno messi alla prova e valutati sulla base dei seguenti criteri: memorizzazione dei dettagli fattuali, comprensione dei concetti globali, capacità di riassumere la lezione e di generalizzare le informazioni ricevute. Metà degli studenti avrebbe preso appunti con un laptop, mentre il resto della classe avrebbe usato carta e penna.

Al termine dell'esperimento, i ragazzi con il laptop potevano vantare appunti più dettagliati. Ciononostante, coloro che avevano preso gli appunti a mano hanno dimostrato una comprensione concettuale più solida e una maggiore capacità di applicare e integrare i contenuti rispetto a quanti avevano usato il laptop.
Daniel Oppenheimer, UCLA Anderson

Come si spiega un risultato simile? Mueller e Oppenheimer ritengono che prendere appunti a mano richieda processi cognitivi diversi rispetto al prendere appunti digitando su una tastiera, processi le cui implicazioni influiscono in qualche modo sull’apprendimento.

La scrittura manuale è più lenta e faticosa, perciò gli studenti non hanno materialmente il tempo di annotare ogni singola parola del docente. Così sono costretti ad ascoltare, elaborare e riassumere la lezione in modo tale da coglierne l’essenza: questo richiede loro un notevole sforzo mentale, che si rivela efficacie in termini di comprensione e assimilazione dei contenuti.

Al contrario, quando battono su tastiera gli studenti riescono a produrre un resoconto dettagliato della lezione anche senza coglierne il significato, in quanto la maggiore velocità di scrittura consente loro di trascrivere parola per parola le informazioni fornite dal docente, senza la necessità di prestare molta attenzione ai contenuti.

Occorre comunque precisare che l’esperimento di Mueller e Oppenheimer ha valutato i ragazzi sulla memoria a breve termine, mentre nella maggior parte dei casi tra la lezione e la verifica di quanto appreso vi è un intervallo temporale piuttosto esteso. Si può quindi presumere che gli studenti che prendono appunti sul laptop – nonostante uno svantaggio iniziale rispetto a quanti usano carta e penna – si riveleranno avvantaggiati sul lungo periodo, perché potranno permettersi di studiare su appunti più completi e discorsivi.

Riccardo Silva

[articolo liberamente tratto e adattato da A Learning Secret: Don’t Take Notes with a Laptop, Scientific American]

venerdì 3 luglio 2015

Come migliorare la scuola 2.0: le idee dei ragazzi

Si parla spesso della scuola, degli insegnanti, così come della tecnologia legata a questi temi eppure si parla molto meno con gli alunni, e allora perché non ascoltare cosa hanno da dire i diretti interessati?

Dopo aver intervistato diversi studenti delle scuole tecnologiche ho capito che sono tutti accomunati da un’unica idea di scuola: vogliono una scuola che serva, che li formi al mondo del lavoro, una scuola dove insegnante e studenti interagiscono gli uni con gli altri e non più con il solito metodo “spiegazione, assegnazione di compiti e interrogazioni”.

Pur essendo ancora solo un concetto condiviso tra ragazzi, le idee sono già molte: c’è chi, come Sara Gibo, dell’ITC Cestari di Chioggia (VE), mi ha raccontato di quanto sia stato semplice, arrivata all’università, rapportarsi al metodo dei docenti, che ormai spessissimo si muniscono di slide, video e immagini per supportare le lezioni;  oppure chi, come Lorenzo Malvindi, del liceo scientifico Enrico Medi a Battipaglia (SA), si è soffermato sulla visione di un "insegnante moderno", cioè di una persona che riesca a rapportarsi con gli alunni come loro fanno nella società, con innovazioni tecnologiche e abbandonando le lezioni frontali.
Come dice Davide Zammillo "Non si tratta solo di sostituire la carta con lo schermo, ma di avere la possibilità di lavorare tutti insieme grazie a software collaborativi non solo nella classe ma anche con altre classi o addirittura da casa, dando la possibilità anche agli studenti ammalati di tenersi al passo con le lezioni".

Eppure anche questi ragazzi si rendono conto che spesso i loro coetanei non sono pronti ad usare la tecnologia come supporto scolastico e che quest'ultima possa essere per molti più una distrazione che non uno strumento educativo; ecco perché alcuni degli studenti 2.0 che ho intervistato hanno proposto di fare dei "corsi di responsabilizzazione" verso le innovazioni tecnologiche usate nelle classi.

Annapaola Zingarelli

mercoledì 1 luglio 2015

Non solo scuola! L'apprendimento a 360°

Viviamo in un mondo multimediale, dove le risorse disponibili per accrescere la nostra cultura sono illimitate.

La storia dell’apprendimento comincia con la nascita dell’uomo. Siamo nati per imparare e ci siamo sempre adattati ai mezzi che avevamo a disposizione per poterlo fare. Dapprima ci si è arrangiati con la trasmissione orale, con un rapporto faccia a faccia tra insegnante e alunno. Poi si è aggiunta la possibilità di portarsi  lo studio in casa tramite libri e manuali . Più tardi mezzi come radio, tv, enciclopedie e riviste hanno incrementato la possibilità di accedere alla conoscenza, in maniera anche più varia e accessibile.

Ma la grande rivoluzione l’ha portata il Web. Non è più questione di scegliere dove cercare le risposte alla propria sete di sapere: la soluzione è tutta lì dentro.La scelta è come, se sottoforma di testo, audio, slides, video, etc… Quindi, perchè fermarsi  al solo apprendimento scolastico, dove l'istruzione dipende ancora in buona parte dalla sola figura del docente?

Tra i banchi di scuola vengono seminate le nozioni di base, i riquadri generali sulle diverse discipline in cui si sfaccetta la conoscenza umana. Vengono suggeriti metodi di studio e soprattutto si danno spunti per alimentare la curiosità che ciascuno di noi ha innata, per determinati argomenti.

È fuori dalle quattro mura scolastiche che inizia l’apprendimento vero, quello stuzzicato dal bisogno umano di scoprire ed esplorare ambiti sconosciuti. Ed è qui che il Web porta il suo contributo, servendo da punto di raccolta per chi vuole condividere il proprio sapere con il resto dell’umanità.

Prendiamo gli affermati siti di corsi online come Khan Academy e Coursera. Dietro a queste piattaforme stanno docenti universitari e persone istruite, che hanno deciso di rendere accessibili le proprie conoscenze a chiunque sia interessato, proponendo videolezioni integrate da esercizi, schemi e materiale per rendere più incoraggiante lo studio.

Logo dedicato al progetto della "flipped classroom"

Prendiamo invece il fenomeno delle “flipped classroom”, le classi “capovolte”. Una nuova strategia didattica dove lo studente apprende da casa, nel modo a lui più consono, mentre sfrutta l’aula scolastica come ambiente in cui mettere in pratica le nozioni apprese, in un clima di collaborazione e scambio reciproco. È un progetto reso possibile dal diffondersi della cultura online e dal crescente numero di prodotti multimediali. Facendo così, non si è costretti a cercare un metodo ottimale universale per trasmettere le conoscenze ma ci si adatta alle diverse esigenze dello scolaro.

Siamo abituati a vedere l'istruzione come un'attività statica, noiosa e ripetitiva a cui veniamo sottoposti per dovere. La tecnologia ci ricorda che imparare significa osservare, imitare, mettersi alla prova e collaborare in maniera attiva e dinamica.

domenica 28 giugno 2015

Non è fantascienza

Riduzione dei costi, modernizzazione delle infrastrutture e delle tecnologie per la didattica, riorganizzazione del personale e aggiornamento dei programmi scolastici… Ogni volta che in Italia si è discusso di riforma dell’istruzione, sono queste le tematiche intorno alle quali si è polarizzato il dibattito. Cambiano – o pretendono di cambiare – gli aspetti formali dell’educazione, le “condizioni al contorno”, ma il modello di apprendimento rimane sostanzialmente invariato.

Il sistema scolastico moderno ha conservato fino ai giorni nostri un impianto a compartimenti stagni, un’eredità di matrice ottocentesca. All’epoca la nascente scuola pubblica aveva il compito di alfabetizzare la popolazione povera e insegnare ai futuri lavoratori quelle nozioni tecniche, matematiche, economiche o giuridiche proprie di ciascun profilo professionale. La “somministrazione” del sapere era – ed è tutt’oggi – organizzata secondo una logica settoriale, che si riflette nella spartizione dei contenuti didattici all’interno delle materie scolastiche. Persino il momento formativo è confinato entro specifiche coordinate spaziali e temporali: le quattro pareti dell’edificio scolastico e i sessanta minuti dell’ora di lezione.

Ma la società contemporanea appare profondamente cambiata rispetto a quella in cui questo modello educativo è stato concepito – o quanto meno sono cambiate le sue esigenze in materia di istruzione. Non che la conoscenza tecnico-nozionistica sia disprezzata, tutt’altro: semplicemente non è più ritenuta sufficiente. Ai cittadini e ai lavoratori di domani (gli studenti di oggi) è richiesta una vasta gamma di abilità orizzontali, competenze di carattere più generale spendibili in diversi ambiti disciplinari: multisettorialità, pensiero critico, creatività e scioltezza comunicativa. Abilità che la scuola italiana non sembra ancora in grado di offrire.

Insegnamento capovolto:
esempio di sistema educativo decentrato
Eppure le alternative al paradigma educativo tradizionale esistono e sono molto meno fantascientifiche di quanto pensiamo. Secondo il centro di ricerca Glocus, che nel giugno 2014 ha stilato un rapporto al riguardo, le nuove frontiere dell’educazione si muovono verso un modello di apprendimento partecipativo e decentrato, dove la rete e le ICT (Information & Communication technologies) sono concepite non come semplici materie di studio, ma come metodo di insegnamento. Partecipativo, perché gli studenti sono chiamati confrontarsi con l’insegnante e a costruire interattivamente la lezione, passando da ricettori a produttori di conoscenza; decentrato, come conseguenza del precedente, in quanto l’insegnante abbandona il pulpito della cattedra e lavora insieme ai suoi alunni in qualità di coordinatore dell’attività didattica e della ricerca di informazioni on-line.

Anche se questo modello di “scuola aperta” è ancora in una fase sperimentale, non è difficile immaginare quali siano i principali benefici sul lungo periodo:

1.       Il maggiore coinvolgimento dei ragazzi nel reperimento e nella discussione dei materiali di studio si traduce in una conoscenza interessata – e quindi più solida – degli argomenti trattati a lezione.

2.       L’esplorazione del Web e delle risorse on-line sotto la guida di un docente competente contribuisce alla formazione di cittadini digitali consapevoli e responsabili, stimola negli studenti la capacità di ragionare in modo critico e li educa ai valori di condivisione e collaborazione.

3.       La lezione diventa un’occasione per affinare le proprie abilità comunicative, acquisire chiarezza espositiva e apprendere i principi della divulgazione scientifica.

Edublogs.org, piattaforma gratuita per l'apertura di blog scolastici
Insegnanti pratici con il computer e poche tecnologie di larga diffusione, in primis un accesso comodo alla banda larga, sarebbero già un ottimo punto di partenza per riformare l’istruzione, senza necessariamente dover riformulare il patrimonio tecnologico scolastico. Perché oggi uno studente può anche fare a meno del registro elettronico o del 3D stereoscopico, ma non di una connessione efficiente ad Internet.

La società è cambiata. Le alternative al sistema educativo tradizionale esistono e sono molto meno fantascientifiche di quanto pensiamo. 

Riccardo Silva

venerdì 26 giugno 2015

Il Registro Elettronico è destinato a rimanere un'illusione?

A partire dall'anno scolastico 2012\2013 il MIUR ha dato il via al Piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie. Dietro questo nome così astratto e complesso, si nascondono essenzialmente due punti  fondamentali : l'obbligo delle iscrizioni online e l'introduzione del registro elettronico.

Sulle iscrizioni online niente di rilevante da dire : a decorrere dall'anno scolastico 2012-2013, le iscrizioni alle istituzioni scolastiche statali di ogni ordine e grado avvengono esclusivamente in modalità  online attraverso un apposito applicativo che il MIUR mette a disposizione delle scuole e delle famiglie. In modo più o meno favorevole questa novità è stata accettata in breve tempo da docenti e famiglie.

La questione del registro elettronico invece è ben più delicata. Dal punto di vista tecnico il Registro Elettronico (R.E.) altro non è che una piattaforma WEB che consente ai docenti di utilizzare online le funzionalità di registro di classe e di registro del professore. Attraverso una User ed una Password ogni docente, dotato di un PC , tablet o smartphone e di una connessione ad internet, ha la possibilità di accedere al R.E. ed è quindi in grado di poter inserire i voti delle interrogazioni e delle prove scritte, i ritardi e le uscite anticipate, le assenze e le giustificazioni,  gli argomenti trattati a lezione. I dati inseriti, sono registrati in tempo reale nell’archivio dell’istituto (in alcuni casi direttamente sul Cloud). Le famiglie, accreditate dall'istituto, hanno la possibilità di accedere alla piattaforma e consultare facilmente tutte queste informazioni.

        Immagine tratta da www.comprensivomontesanpietro.info 


Le funzioni del registro elettronico dovrebbero dunque agevolare le istituzioni scolastiche in molti aspetti. Esso dovrebbe infatti consentire maggiore comunicazione e condivisione tra sistema centrale ministeriale e scuole, fare risparmiare risorse cartacee favorendo minore spreco e impatto ambientale. Inoltre, renderebbe più trasparenti e organizzate le valutazioni e i dati. Nonostante ciò, l'introduzione del registro elettronico ha suscitato e continua a suscitare non poche perplessità, specie tra i docenti, legate per lo più a questioni di natura pratica : in soldoni, molti insegnanti non hanno le competenze tecniche per affrontare adeguatamente questa vera e propria rivoluzione.

Il 25% degli insegnanti italiani dichiara di non conoscere bene nessuno strumento informatico e il 15% degli insegnanti che dichiara di avere una ridotta conoscenza degli strumenti informatici afferma di conoscere al massimo uno. La situazione risulta ben più grave tra gli insegnanti di scuola primaria e dell’infanzia tra i quali il 33% non conosce nessuno strumento informatico. Marco Busetti, provveditore di Milano, a tal proposito afferma che se le scuole digitalizzate sono ancora poche è perché gli insegnanti non hanno una adeguata preparazione : “I finanziamenti vanno benissimo ma non basta dotare le scuole di grandi mezzi se poi in pochi sanno come usarli.".


D'altra parte, l'introduzione del R.E. appare anche acerba dal punto di vista strutturale: in molte scuole la rete Wi-Fi è mancante o malfunzionante : in quasi una scuola su due la connessione, pur essendoci, non raggiunge, o non lo fa in maniera efficiente, tutte le classi.

La situazione dunque appare tutt'altro che positiva, a distanza di tre anni dalla partenza del Piano, e non sembra destinata a migliorare in tempi brevi : c'è ancora tanto (troppo) su cui lavorare.

Benedetto Manasseri